
Agorà Democratiche
AGORÀ DEMOCRATICHE
La transizione energetica: opportunità per il lavoro, l'industria e l'ambiente
La transizione ecologica è al centro dell’agenda delle Istituzioni a tutti i livelli. A quasi sei anni dall’Accordo di Parigi, in larga parte disatteso, l’obiettivo della neutralità climatica, a cui sempre più Stati e imprese vanno uniformando la propria azione, rappresenta una sfida epocale, che richiede misure, investimenti, riforme straordinari. L’Unione europea si presenta sulla frontiera avanzata del percorso di transizione ecologica. È, infatti, l’area del mondo che negli ultimi decenni ha saputo far crescere di più la quota di energia prodotta da fonti rinnovabili, ha ridotto in misura significativa le emissioni pro-capite e promosso crescita economica riducendone gli impatti ambientali. L’European Green Deal, in questo quadro, costituisce un ambizioso pacchetto di interventi in grado di rivoluzionare, all’insegna della sostenibilità, svariati ambiti della vita organizzata, dalla generazione di energia alla mobilità, dall’industria alle case, dall’utilizzo delle risorse naturali ai modelli di produzione e consumo. I nuovi target energetici e climatici al 2030 e l’attenzione trasversale che la transizione ecologica ottiene all’interno di Next Generation EU sono un’ulteriore testimonianza della rilevanza che la missione dello sviluppo sostenibile riveste per le politiche europee. La ripresa dalla crisi Covid-19 dovrà essere giusta e sostenibile. A questo fine, il 37% delle risorse del Recovery and Resilience Facility deve essere impegnato per la transizione ecologica e tutte le misure contenute nei Piani nazionali di Ripresa e Resilienza non devono danneggiare il conseguimento degli obiettivi di sostenibilità ambientale. L’Italia non parte da zero. Si distingue in Europa, ad esempio, per efficienza energetica e uso circolare delle risorse. Da diversi anni, al contrario, conosce rallentamenti nell’installazione di nuova capacità di energia pulita e si trova molto esposta alle conseguenze del cambiamento climatico, in termini, ad esempio, di perdita di biodiversità, eventi atmosferici straordinari, dissesto idrogeologico. L’Agorà vuole rappresentare un momento corale di confronto e proposta che coinvolga la comunità del Partito Democratico, le forze economiche e sociali, gli altri soggetti del centrosinistra, tecnici ed esperti. Si intende fare il punto sulla posizione dell’Italia nel percorso di transizione ecologica, rafforzando l’agenda della politica e delle Istituzioni ai vari livelli e contribuendo al progetto per l'Italia, che farà da base al programma delle elezioni del 2023. Tenere l’appuntamento in Basilicata, terra che più di tutte si colloca al crocevia tra una notevole presenza di risorse energetiche e naturali, emergenze economiche e sociali e la necessità di fare leva su modello di sviluppo verde e innovativo per promuovere benessere, e a Melfi, emblema dell’esigenza di riconvertire in maniera sostenibile e innovativa, una delle più importanti industrie tradizionali, può svolgere altresì una funzione simbolica. Temi In particolare, si vogliono affrontare i seguenti temi. Essi saranno discussi nei tre tavoli di lavoro all’interno dell’Agorà. 1. Energie pulite: promozione della generazione di energia pulita, nuovi vettori e fonti di energia, efficienza energetica, tutela del paesaggio e individuazione delle aree idonee, potenziamento delle infrastrutture, comunità energetiche e autoconsumo. 2. Economia circolare: passaggio da un’economia estrattiva a un’economia circolare, utilizzo responsabile delle risorse naturali, promozione di riuso, riutilizzo, recupero e riciclo, materie prime secondo e end of waste, gestione e chiusura del ciclo dei rifiuti. 3. Tutela delle risorse naturali e pianificazione urbana: cura del territorio, consumo di suolo e dissesto idrogeologico, tutela delle specie animali e vegetali, del mare e delle acque interne, rafforzamento del sistema dei parchi, rigenerazione urbana e misure di adattamento al cambiamento climatico. 4. Agricoltura sostenibile: promozione di una filiera agroalimentare sostenibile, integrazione tra agricoltura e energie pulite, miglioramento degli standard ambientali del settore agricolo. 5. Mobilità alternativa: sviluppo di sistemi di trasporto e mobilità sostenibili, rafforzamento della mobilità elettrica e a alimentazione alternativa e delle infrastrutture relative, intermodalità, mobilità dolce, tecnologie digitali per la mobilità. 6. Industria e green tech: riconversione industriale sostenibile, fair transition, costruzione di filiere industriali della transizione ecologica, green tech e ricerca e sviluppo.
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4 commenti
Sarebbe interessante far emergere i vincoli e le resistenze che possono opporsi a tale disegno riformatore.
Per esempio, all’interno delle attuali regole di funzionamento del processo economico nazionale/mondiale, tale riconversione riesce a garantire che prodotti e servizi sostenibili siano alla portata di tutti, evitando che lo stile green diventi un indicatore di status e non una generalizzata forma di produzione e consumo?
Ovvero, come si tiene insieme l’obiettivo di un’economia sostenibile e l’obiettivo di ridurre le diseguaglianze?
Il problema della diseguaglianza è spesso affrontato in termini morali e non strutturali. Il vero problema della concentrazione della ricchezza in parti ristrette dell’umanità sta nell’incremento del numero di lavoratori occupati nei settori che producono beni e servizi di lusso, invece che nei settori in grado di risolvere i molti problemi umani (dalla povertà alla carente manutenzione ambientale). Ma non puoi evitare tale concentrazione di ricchezza e di occupazione nei beni/servizi di lusso, in un solo Paese, mediante la pressione fiscale, altrimenti incentivi la fuga di capitali: ecco un problema che richiede una visione internazionale. La logica di mercato trova il miglior prezzo di equilibrio tra domanda e offerta, ma in base ad essa distribuisce anche l’occupazione: il mercato distribuisce il lavoro in base all’utile che produce e non ai bisogni sociali.
Si può affrontare il tema di una riconversione ecologica, senza affrontare il tema del rapporto tra volontà democratica e logica capitalista? Naturalmente anche in una logica capitalista si può operare in modo lungimirante o miope, ma il problema è verificare se nell’attuale globalizzazione, propositi “giusti” e democraticamente approvati in un singolo Stato, possono essere attuati senza governare democraticamente anche l’economia mondiale.
Se l’Italia, una comunità di 60 milioni di abitanti, risulta quasi impotente di fronte alla volontà di una singola impresa, di delocalizzare, qualche problema dobbiamo porcelo.
Il Pd è rimasto forse l’unico Partito con un discreto consenso di massa, con una classe dirigente degna di tale nome, più numerosa di altri, che ha garantito coesione sociale e evitato derive sovraniste, meriti poco riconosciuti se non riusciamo a schiodarci dal 20% di consensi: però se non facciamo lo sforzo di affrontare nei suoi aspetti strutturali le ragioni delle diseguaglianze presenti e future (il problema ambientale si può leggere come una diseguaglianza tra generazione presente e futura), rischiamo di diventare i più umani e razionali gestori di vincoli che impediscono la rimozione di tali diseguaglianze. Lontani da un numero crescente di cittadini senza lavoro, con lavori precari, poveri anche se lavorano, in quartieri degradati, ecc. Facili prede del populismo di destra.
Ipotizzo che il rapporto tra logica democratica e logica capitalista a livello mondiale sia il tema da affrontare.
È ormai assodato che i metodi tradizionali di produzione di energia porteranno al superamento dei tipping point e alterazione degli equilibri ecosistemici così come li conosciamo oggi ed è dato per scontato che ci si debba adoperare affinché i sistemi di produzione energetica diventino sostenibili. Ecco, quindi, la parola che tanto ripetiamo nell’ultimo periodo: sostenibilità. Le accezioni sono diverse, energia sostenibile, crescita sostenibile ecc. Associamo alla sostenibilità la produzione energetica mediante impianti eolici, fotovoltaici, idroelettrici, combustione dell’idrogeno e qualcuno pensa persino al nucleare. Lo sviluppo tecnologico e la scienza ci indicherà quale di questi contributi alla produzione energetica sarà prevalente o se sarà un mix equamente distribuito tra queste fonti. La responsabilità della politica è a mio avviso un’altra. La politica deve dare risposte al modello economico e sociale che si accompagnerà a questa transizione. Vogliamo che l’aggettivo sostenibile sia limitato all’aspetto di zero emissioni di inquinanti mentre l’energia viene prodotta o che sia comprensivo di tutti gli aspetti sociali ed ambientali ad esso assimilabili? Vogliamo che distese di pannelli fotovoltaici ricoprano terreni potenzialmente utilizzabili per la produzione agricola o che si proceda con l’individuazione di zone a destinazione funzionale in cui tali impianti vengano installati? Penso a ex siti industriali da bonificare, per i quali il ripristino ad uso agricolo è particolarmente dispendioso e l’utilizzo ai fini di produzione energetica pulita è occasione di rilancio oppure penso ai tetti delle aziende agricole. Per legge le regioni dovrebbero già predisporre di piani in cui si individuano aree idonee a tal proposito, ma nel mentre la burocrazia ottempera ai suoi compiti, si continua con l’installazione di impianti fotovoltaici procedendo ad autorizzazioni caso per caso, continuando a consumare suolo nonostante si preveda che in futuro la produzione agricola non sarà sufficiente per la popolazione mondiale. Ci disperiamo per la foresta amazzonica che brucia per far spazio all’allevamento intensivo o all’agricoltura intensiva ma non ci accorgiamo che il fotovoltaico continua a sottrarre suolo utile per lo stesso fine e stesso dicasi per gli impianti eolici, di cui la Basilicata è piena. Essa ha il 25% di pale eoliche sul territorio rispetto al totale nazionale, ma produce il 10% del totale nazionale di energia eolica, unica regione che ha più percentuale di pale che di produzione di energia. Non è sostenibile ricoprire un intero territorio in maniera casuale di pale, alterandone il paesaggio e la frammentazione territoriale. Zone non antropizzate, in cui gli ecosistemi erano intatti, vengono stravolti per la mancata volontà politica di pianificare una produzione industriale e regolamentata, in cui l’installazione di impianti è regolata da norme precise.
La gestione sostenibile e l’uso efficiente delle risorse naturali è uno dei mezzi attraverso cui perseguire l’obiettivo 12 dell’agenda 2030: garantire modelli sostenibili di produzione e di consumo. Ma quanto scritto non è esaustivo per rappresentare tutti gli aspetti che l’aggettivo sostenibilità vuole sottendere. Quando pensiamo al futuro della produzione energetica non immaginiamo che la produzione energetica possa essere fatta in maniera democratica. Continuiamo a pensare che a produrre energia debbano essere grandi multinazionali industriali che privatizzino le risorse naturali e producono energia per tutti, dietro riconoscimento economico. Se dalle oil valley passiamo alle hydrogen valley non cambiamo questo aspetto di produzione energetica. Non sarà impattante dal punto di vista ambientale, ma continuerà ad alimentare un sistema mercantilistico che ha portato all’aumento delle disuguaglianze, a generazioni di poor workers, di precari e lavoratori sottoqualificati. Amministratori delegati pagati anche 100 volte più di quanto viene pagato un operaio, costretti spesso a turni di lavoro alienanti. Perché scegliere quindi di foraggiare esclusivamente questo sistema e non stimolare invece l’autoproduzione e le comunità energetiche. Il popolo si riappropria così delle risorse naturali. Bisogna quindi finanziare progetti di autoproduzione e connessione energetica di edifici mediante smart grid. Se non si rivoluziona il sistema attuale, di natura mercantilistica, si rischia di non ridurre le disuguaglianze generate anche dalla transizione energetica. Il reddito energetico è uno strumento necessario per garantire che anche chi non ha reddito sufficiente possa ammodernare la propria abitazione con pannelli fotovoltaici. Si raggiungono così tre obiettivi: efficientamento energetico di abitazioni che altrimenti potrebbero inquinare molto, rivalorizzazione di tali edifici, indipendenza energetica per queste persone e quindi riduzione delle disuguaglianze. Ecco, quindi, che compare un obiettivo fondamentale che la transizione energetica deve soddisfare: LA GIUSTIZIA SOCIALE. Mi preoccupo quindi quando sento parlare di una carbon tax da applicare indistintamente a qualsiasi bene prodotto. La carbon tax sarebbe una tassa di natura regressiva. Non possiamo salvare il pianeta facendo pagare un prezzo maggiore, in proporzione alla loro disponibilità, a chi è meno abbiente. Quindi sì alla carbon tax solo se applicata a beni di lusso. Per concludere evidenzio un tema spesso trascurato ed adombrato dalla transizione energetica: l'adattamento al cambiamento climatico. Anche se smettessimo domani di emettere gas serra, non potremmo fermare un cambiamento già in atto. Serve mettere in opera anche tutte le azioni di adattamento al cambiamento climatico. Riciclo dell’acqua per far fronte a periodi di siccità che saranno sempre più frequenti o risolvere il problema del dissesto idrogeologico. Sono temi che non possono rimanere fuori dalla pianificazione politica.
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