
Agorà Democratiche
AGORÀ DEMOCRATICHE
Garantire ai cittadini il “diritto a non essere disinformati”
- Descrizione dettagliata
- L’effettivo esercizio dei diritti politici, inteso come partecipazione e scelta (individuale e collettiva) “libera e consapevole”, rischia però di essere compromesso, non solo quando non è garantito l’accesso materiale/culturale agli strumenti digitali, ma anche quando questi ultimi non sono “trasparenti” e, in particolare, non sono sottoposti a regole in grado di garantire ai cittadini il “diritto a non essere disinformati”, quale presupposto di un confronto aperto, libero e plurale, che prende le mosse da una comprensione condivisa di ciò che è vero e ciò che non lo è.
Diversi interventi - dopo aver sottolineato come non vi possa essere democrazia, confronto “razionale” e costruttivo tra opinioni diverse, integrazione politica liberamente e consapevolmente partecipata, se non sono assicurate adeguate condizioni culturali e di informazione, a partire dalla possibilità di una condivisione (per quanto talvolta problematica) dei fatti - hanno evidenziato come il contesto informativo digitale tenda a rendere sempre più impegnativa e difficile tale condivisione. Le dinamiche di profilazione e di selezione algoritmica dei contenuti, che caratterizzano le piattaforme online, tendono infatti ad acuire le distorsioni cognitive e la polarizzazione del confronto civile e politico, e alla fine rischiano di trasformare il “mercato delle idee” in un “mercato dei fatti e delle verità”, nel quale tende appunto a venire meno la fondamentale distinzione tra fatti (sui quali si dovrebbe cercare di concordare), competenze (che si dovrebbero riconoscere a chi le possiede) e pluralità delle opinioni (disponibili al confronto, a partire da fatti condivisi).
Da qui la necessità di nuove regole volte a proteggere il cittadino dalle “distorsioni” nel mercato digitale delle idee e dell’informazione, derivanti da a) posizioni dominanti, b) asimmetrie informative, c) campagne di “pubblicità ingannevole”, d) diffusione organizzata di fake news, nonché più in generale e) dalle dinamiche di profilazione e di selezione algoritmica dei contenuti e dei destinatari, specie nelle campagne personalizzate di comunicazione politica (microtargeting): nuove regole (per alcuni aspetti analoghe a quelle sperimentate nei diversi mercati delle merci e dei servizi a protezione dei consumatori) contenenti, da un lato, specifici divieti (come ad esempio quello di eccessiva concentrazione delle proprietà, o di accesso ad alcuni siti identificati come disinformatori seriali, o di inserzione di alcune campagne pubblicitarie a pagamento o ancora ad esempio quello di pubblicazione di messaggi di odio che incitano alla violenza …) e, dall’altro, specifiche (ed effettive) garanzie di conoscenza e di possibilità di scelta, come ad esempio il tipo e il grado di profilazione cui sottoporsi o l’identità delle fonti da cui provengono i contenuti informativi disponibili in rete (autore se umano od owner del programma automatico, paese di origine, eventuali rilanci da altri siti…).
In questa prospettiva, al fine di rafforzare la libertà di espressione dei cittadini e la capacità della sfera digitale di essere luogo di informazione e di confronto plurale e democratico, occorrerà dunque sviluppare e integrare le linee di intervento contenute nella proposta europea di Digital Services Act.
Considerando la particolare complessità della materia e la difficoltà di definire norme capaci di conseguire gli obiettivi sopra indicati, orientando e disciplinando la sempre più rapida e pervasiva innovazione digitale, dal confronto è altresì emersa la proposta di istituire una commissione bicamerale (Democrazia e innovazione digitale) che, in stretta relazione con le istituzioni europee (e in coerenza con i risultati e gli obiettivi del “European Democracy Action Plan”), monitori le trasformazioni tecnologiche in atto e approfondisca i loro effetti sul funzionamento delle dinamiche partecipative e delle istituzioni politiche, così da supportare la predisposizione, e il costante adeguamento, di una efficace regolazione (si pensi, ad esempio, alla crescente interdipendenza tra tutela dei dati personali, ruolo della profilazione algoritmica online e pluralismo informativo nella sfera digitale, e alla necessità di verificare se l’attuale disciplina degli strumenti e delle modalità di intervento dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni e del Garante dei dati personali siano adeguate o bisognose di riforma e di maggiore integrazione). - Quale problema vuole affrontare questa proposta?
- L’effettivo esercizio dei diritti politici, inteso come partecipazione e scelta (individuale e collettiva) “libera e consapevole”, rischia però di essere compromesso, non solo quando non è garantito l’accesso materiale/culturale agli strumenti digitali, ma anche quando questi ultimi non sono “trasparenti” e, in particolare, non sono sottoposti a regole in grado di garantire ai cittadini il “diritto a non essere disinformati”, quale presupposto di un confronto aperto, libero e plurale, che prende le mosse da una comprensione condivisa di ciò che è vero e ciò che non lo è.
- Quali sono le persone, le realtà, le Associazioni, le istituzioni da coinvolgere?
- Parlamento, Istituzioni Europee, associazioni, esperti, cittadini.
Agorà da cui è emersa la proposta:
Politiche e strumenti per una democrazia “emancipante” nell’attuale contesto economico, sociale e digitale
I Parlamenti e più in generale le istituzioni rappresentative del pluralismo vivono, da tempo, una stagione difficile. Faticano a rappresentare e faticano a governare e, in particolare, faticano a promuovere uno sviluppo emancipante e inclusivo che assicuri uguaglianza di opportunità e uguaglianza di accesso ai beni essenziali. E’ cresciuto nel Paese, insieme alla paura e all’insicurezza economica, un sentimento di sfiducia nelle istituzioni democratiche, nella mediazione politica e nei corpi intermedi; un sentimento di sfiducia che ha assunto, in alcuni momenti, specie negli anni che hanno preceduto la pandemia, l’intensità e la forma di una vera e propria “contrapposizione” tra il popolo e il “Palazzo”.
Il bivio che abbiamo di fronte per affrontare e cercare di risolvere questo serio problema, che rischia di minare alle fondamenta l’intero assetto democratico costituzionale, potrebbe essere così sintetizzato: “abbattere il Palazzo”, superare la sua centralità, esasperando la contrapposizione; oppure, riformare il “Palazzo” e, al contempo, riformare l’organizzazione sociale della partecipazione politica.
Detto in altri termini: possiamo imboccare la strada di una progressiva extra-parlamentarizzazione dei processi partecipativi e decisionali, dando vita a istituti giuridici alternativi e autonomi da quelli imperniati sulla rappresentanza politica e sul protagonismo dei partiti e dei corpi intermedi, teorizzando che il popolo non abbia bisogno di alcun “Palazzo” o che la democrazia rappresentativa non abbia più ragione d’essere nella modernità e nel quadro dell’attuale contesto tecnologico e comunicativo; oppure, al contrario - muovendo dalla convinzione che non sia possibile preservare le condizioni del pluralismo e della partecipazione critica e attiva se non vi è mediazione organizzata, rappresentanza generale e Assemblee legislative - imboccare la strada dell’impegno per ridurre la contrapposizione e la distanza, cercando, da un lato, di rendere le istituzioni della democrazia rappresentativa più capaci di coinvolgere, di rappresentare, di decidere e, quindi, di governare i processi economici e sociali; e, dall’altro, cercando di offrire ai cittadini nuovi e ulteriori strumenti di partecipazione e di esercizio dei loro diritti politici e delle loro responsabilità.
La presente agorà intende muoversi in questa seconda prospettiva, cercando innanzitutto di mettere a fuoco i presupposti materiali, culturali e istituzionali di una effettiva partecipazione (critica e riflessiva) all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese nell’attuale contesto, caratterizzato (altresì) da una profonda e pervasiva innovazione digitale che incide su ogni aspetto della nostra vita individuale e relazionale, e dunque sugli stessi processi partecipativi e di costruzione del consenso.
Nel quadro di una più generale riflessione sulla democrazia che vorremmo realizzare, occorrerà perciò dedicare una particolare attenzione alle potenzialità e ai limiti di tale innovazione, ovvero, più precisamente, alla definizione delle condizioni di un suo utilizzo virtuoso e coerente con i principi di una democrazia “emancipante”, di una democrazia cioè capace di mantenere le promesse dell’uguaglianza (nel rispetto delle diversità) e del “pieno sviluppo della persona umana”.
Se sarai presente a Torino ti preghiamo di arrivare con almeno 15 minuti di anticipo all’evento, così da facilitare le operazioni di controllo dell’avvenuta registrazione alla piattaforma e all’evento.
Agorà organizzata da Andrea Giorgis
Elenco dei sostenitori
Segnala un problema
Questo contenuto è inappropriato? Facci sapere perché
6 commenti
Se "il diritto a non essere disinformati" (frase di difficile comprensione :)) vuole dire "lotta alla disinformazione" vale il mio commento espresso nell'altra proposta "Dare piena e compiuta attuazione all’art.49 della Costituzione: assicurando altresì ai partiti le risorse necessarie" al quale rimando. L'idea è di provare a spezzare la complicità basata su interessi comuni che di fatto si è creata tra forze politiche e reti sociali: queste ultime traggono forza dalla disinformazione perché favorevole al loro modello di business in quanto incrementa il traffico e quindi le entrate pubblicitarie, le prime provano ad aumentare il consenso basando le loro strategie di propaganda politica sulla disinformazione. Lo strumento che anche qui propongo è impedire l'accesso al finanziamento pubblico alle organizzazioni politiche e sociali che adottino forme di propaganda in rete basate sulla disinformazione.
Mi permetto di aggiungere un aspetto futuribile che riguarda la gratuità dei dati che oggi ogni essere umano regala a varie app, per i motivi più svariati.
Questi dati sono una risorsa preziosa, nel momento in cui noi cittadini e gli Stati pretenderemo di essere retribuiti per ciò che ora, in grande quantità, stiamo regalando credo potremo aprire un futuro di giustizia equitativa e redistribuzione del reddito mai visti prima, cambiando anche il modo in cui oggi vediamo parte del welfare (specie con il deficit attuale della sostenibilità generazionale).
Magari potrebbe essere una suggestione per la futura commissione bicamerale (Democrazia e innovazione digitale) che, in stretta relazione con le istituzioni europee (e in coerenza con i risultati e gli obiettivi del “European Democracy Action Plan”), non solo si limiti a monitorare le trasformazioni tecnologiche in atto ma soprattutto approfondisca i loro effetti sul funzionamento delle dinamiche partecipative e delle istituzioni politiche e nella vita dei cittadini europei.
Mi permetto di richiamare l'attenzione sulla possibilità - recentemente introdotta con la legge di conversione del d.l. su semplificazioni e PNRR - di raccogliere in via telematica le firme necessarie per l'attivazione degli istituti di democrazia diretta. Al di là dei vantaggi in termini di partecipazione (anche di soggetti che potrebbero avere difficoltà a recarsi fisicamente nei luoghi di raccolta delle firme), la novità meriterebbe forse qualche riflessione ulteriore. Innanzitutto, per il rischio di un utilizzo sempre più massiccio dell'istituto referendario (magari in dialettica immediata con la legge parlamentare appena prodotta). In secondo luogo, per il rischio che dietro le mobilitazioni telematiche si nascondano soggetti non facilmente identificabili (siano questi gruppi di interesse oppure singoli "influencer"). Infine, per il rischio che le stesse forze politiche preferiscano mobilitare i propri elettori sulle piattaforme telematiche, anziché confrontarsi secondo le regole tradizionali del procedimento legislativo (portando fuori dal Parlamento decisioni che richiederebbero i compromessi tipici di un autentico processo di integrazione politica e non l'alternativa secca tipica della logica referendaria).
Una minaccia al diritto all'informazione di cui essere consapevoli è il ritorno della violenza di piccole minoranze come normale arma politica che con intimidazioni, anche personali, proseguono un'opera di disinformazione organizzata: ne sono vittime le donne in quanto tali se esposte per qualsiasi ragione all'attenzione pubblica, , esponenti di minoranze etniche religiose, e sempre più scienziati e istituzioni di ricerca e cultura, dalle università ai musei alle scuole e loro operatori. Ogni violenza politica è una minaccia gravissima alla democrazia in quanto tale, in se e per le sue ripercussioni reazionarie, come il terrorismo degli anni 70-80 del Novecento dovrebbe averci insegnato.
Da molto tempo il tema del complottismo è ampiamente diffuso nel dibattito pubblico.
La questione non è nuova, infatti già Demostene diceva che “Niente è più facile che ingannare noi stessi, perché crediamo volentieri ciò che desideriamo”. In pandemia la questione è diventata ancora più centrale: sentiamo parlare di complottismo in materia di economia globalizzata (The Great Reset), nuove tecnologie (5G), politiche migratorie (il c.d. piano Kalergi per la “sostituzione etnica”), vaccinazione e Green Pass, e molto altro.
La circolazione di questi contenuti non è solo un problema legato alla pervasività delle piattaforme social, già nel 2013 - quindi all’alba dell’epoca social - sentivamo parlare alcune forze politiche non solo italiane di scie chimiche, di Bilderberg, Trilateral e così via. La giornalista statunitense Anna Merlan ha recentemente parlato di “singolarità cospirazionista” per spiegare come proprio la pandemia sia stata benzina sul fuoco complottista: diverse comunità cospirazioniste si sono incontrate e fuse assieme, spesso sotto il vessillo della lotta alla “dittatura sanitaria”, con un fortissimo impatto politico a livello internazionale. Pensiamo al ruolo fondamentale della macro-teoria (o fantasia) complottista di QAnon, sotto cui è confluito davvero di tutto. L’élite di Hollywood e del Partito Democratico rapisce bambini e succhia il loro sangue per ottenere l’adrenocromo, un ormone che li manterrebbe giovani. Il “salto” dal digitale al reale, al mainstream, è avvenuto in occasione dell’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2020, dove i seguaci di QAnon hanno avuto un ruolo determinante. Anche il recente assalto alla Cgil di Roma è un esempio, tanto da essere stato definito la “Capitol Hill italiana”. Le teorie complottiste sono anche dentro le istituzioni: nelle ultime elezioni americane sono stati eletti rappresentanti che si richiamano direttamente a QAnon, la più famosa è la deputata della Georgia Marjorie Taylor Green.
Abbiamo quindi davanti a noi due ordini di problemi.
Da un lato la permeabilità della nostra società a queste idee, per cui sarà necessario un profondissimo lavoro culturale a partire dalla scuola e dalle nuove generazioni. Dall’altro la mancata trasparenza degli algoritmi che regolano il funzionamento delle principali piattaforme social, alla base della polarizzazione e della distorsione del dibattito pubblico in rete grazie alle “bolle” e alle “echo-chamber”. La nostra società non può più permettersi di vedere, in larghe fasce della popolazione, gli effetti generati da questi algoritmi senza conoscerne le cause più profonde. Per questo credo che il Partito Democratico debba essere protagonista di una battaglia dura, a livello nazionale e non solo, per dotarci di strumenti normativi che garantiscano la massima trasparenza dei meccanismi di funzionamento delle piattaforme. Una battaglia sicuramente non facile, ma non più rinviabile.
Internet ha dilatato enormemente le possibilità di produrre e diffondere informazione. Ogni persona può produrre e pubblicare informazione in rete e ogni persona ha a disposizione una quantità enorme di informazione in cui navigare. Nel farlo, grazie alle sue tracce digitali, ogni persona diventa possibile obiettivo di azioni di informazione o disinformazione (più o meno mirata, più o meno lecita). Il diritto dei cittadini a esprimersi in rete e ad accedere alle informazioni di interesse deve coniugarsi con il diritto a non essere disinformati. Deve valere il principio che in Internet ognuno può esprimersi in assoluta libertà assumendone la responsabilità.
Alcune proposte:
• Rendere obbligatoria la qualificazione delle informazioni pubblicate in rete indicando l’origine, la fonte , l’autore o l’owner del programma automatico, ed ogni altro elemento utile a caratterizzare la sorgente informativa. Nel caso di uso di bot devono essere pubblicati i criteri algoritmici per la selezione/segnalazioni dei contenuti, in particolare per quanto riguarda il modo in cui i sistemi algoritmici modellano l'accesso ai contenuti e di come vengono utilizzati per raggiungere il pubblico .
• Ogni contenuto pubblicato contenuti deve dichiarare la sua identità reale. Ogni piattaforma/ sito web può accettare la pubblicazione di interventi assumendone la responsabilità in caso di illecito sancito dalla legge. In assenza di meccanismi di identificazione certa dell’autore dei contenuti pubblicati la responsabilità è assunta da chi ospita la pubblicazione.
• Alcune piattaforme (es Facebook) detengono un numero particolarmente elevato di iscritti ed utilizzatori e svolgono, date le loro dimensioni, un ruolo di comunicazione e discussione “non rifiutabile”. Non essere presenti nella piattaforma vuol dire essere fortemente penalizzati nella propria vita sociale o negli affari. In questi casi si propone che tali piattaforme siano riconosciute con uno status diverso dalle precedenti, cioè come “servizi pubblici ” in quanto non sostituibili da altre piattaforme.
• Le piattaforme riconosciute servizi pubblici sono tenute ad agire conformemente alle norme e regolamenti stabiliti dallo Stato e non con criteri propri. Devono garantire la libertà d’opinione ed il diritto di pubblicazione ad ogni iscritto di cui sia certa l’identità e non possono esercitare diritti di censura dei contenuti, se non nei casi previsti dalla legge. Hanno l’obbligo di garantire l’anonimato agli utilizzatori che non intendono pubblicare contenuti. Devono assicurare che la raccolta dei dati di tracciamento dell’attività dell’utente sia strettamente funzionale all’erogazione del servizio richiesto, che il consenso dell’utente al loro mantenimento e trattamento oltre quanto necessario per l’erogazione del servizio non possa essere condizione vincolante per l’erogazione del servizio, e che i dati raccolti, opportunamente anonimizzati, siano resi disponibili all’esterno.
Aggiungi il tuo commento
Connettiti con il tuo account o Registrati per aggiungere il tuo commento.
Sto caricando i commenti ...