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Reddito alimentare

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12 novembre 2021  

Descrizione dettagliata
Povertà e spreco alimentare: serve riequilibrare il rapporto tra Stato e Terzo settore

Parlando di spreco e povertà alimentare, ci rendiamo conto che i numeri delle due emergenze sono troppo grandi per esser lasciati alla sola gestione Terzo settore e ai Comuni, che fanno un lavoro prezioso e straordinario, ma che oggettivamente non possono gestire – da soli – la mole di 230mila tonnellate di prodotti alimentari sprecati ogni anno dalla distribuzione e i 5 milioni di persone attualmente in povertà assoluta, dunque alimentare. Perché le cifre, aggravate per altro dalla situazione pandemica, sono queste e sono impressionanti.
Per farlo, serve un intervento del Pubblico. Serve, per meglio dire, che si riequilibri il rapporto tra Stato centrale, Terzo settore e Comuni, sul tema. Non più lo Stato che di fatto scarica sui volontari e amministratori locali la mastodontica gestione di spreco e povertà alimentare, dando al limite un supporto con norme ad
hoc, ma lo Stato che scende in campo al fianco del Terzo settore, rispettando la sua autonomia e la sua esperienza, ma delineandosi come un partner strategico attivo e proattivo, capace di colmare la distanza tra disponibilità del mondo del volontariato e bisogno di mezzi e risorse per fronteggiare efficacemente le due
emergenze che incalzano la società.

Il Reddito alimentare: lo strumento di sussidiarietà circolare frutto di questo
cambiamento

Tutto questo è possibile con il Reddito alimentare, uno strumento, un “tetto” sotto al quale Enti pubblici, Terzo settore e privati operano assieme per combattere spreco e povertà alimentare, mettendo a fattor
comune esperienze, risorse e mezzi. Uno strumento basato quindi su un puro principio di sussidiarietà circolare che si sviluppa attorno ad un nuovo diritto, quello all’alimentazione per chi ha bisogno, per chi è in difficoltà.

Il Reddito alimentare è infatti innanzitutto un diritto, riconosciuto al pari di altri strumenti d’integrazione al reddito alle persone in condizioni di indigenza. A differenza però di altre misure come ad esempio il Reddito di cittadinanza, quello alimentare non eroga denaro, bensì alimenti. Più specificatamente, pacchi alimentari realizzati con l’enorme mole di invenduto della distribuzione alimentare, che compone quelle 230mila tonnellate sprecate ogni anno.

Rispetto a tale mole, il problema, fino ad oggi, è stato quello di riuscire a gestirla e distribuirla, capillarmente, alle persone in difficoltà. Problema di mezzi, come detto.
Perché il Terzo settore non ne ha per fronteggiare da solo le due emergenze al fine di risolverle, ma solo contenerle. E allo stesso modo, anche i Comuni non hanno spesso i mezzi per affrontare radicalmente le questioni. Con però lo Stato centrale al loro fianco, le condizioni cambiano. Sviluppando un sistema di sussidiarietà circolare tra i vari attori, ecco allora che le due emergenze possono essere affrontate in maniera diversa e certo più radicale.

In breve, come funziona il Reddito alimentare?

In una prima fase di avvio, è lo Stato, per tramite dell’INPS, ad individuare la platea di beneficiari, ossia le persone in condizioni di indigenza. Ad esse viene dato un codice univoco, inseribile nell’apposita app del Reddito alimentare realizzata anch’essa dallo Stato. Ad ogni codice corrisponderà un certo numero di pacchi alimentari ottenibili mensilmente, variabile a seconda dello stato di indigenza della persona stessa. Il beneficiario, attraverso la app, potrà dunque prenotare un pacco alimentare e andarlo a ritirare in uno dei centri di distribuzione, oppure se utente fragile (invalido, anziano ecc.) potrà farselo consegnare a casa.

La logistica del progetto funziona proprio grazie alla dinamica del mettere a fattor comune risorse e mezzi da parte di Stato e Terzo settore. Presso la distribuzione, a ritirare l’invenduto sono infatti i volontari o i fattorini di un partner logistico scelto dallo Stato. Da lì, gli alimenti sono stoccati in centri di preparazione e distribuzione situati nelle città italiane. I centri sono le sedi degli enti, i locali messi a disposizione dallo Stato per tramite dei Comuni (che sono parte fondamentale del progetto) e, per quei privati della distribuzione che volessero facoltativamente mettersi a disposizione, piccoli spazi dentro supermercati e ipermercati stessi. Unendo anche qui le disponibilità di spazi degli attori del Reddito alimentare (volontariato, pubblico e privato) si crea dunque un effetto di prossimità per i beneficiari, dando la possibilità alle persone di poter accedere a quei pacchi alimentari senza difficoltà logistiche (si immagini il valore di questo mettere a fattor comune nelle grandi città, dove gli spostamenti sono spesso complicati e dove è importante dare alle persone la possibilità di ritirare pacchi alimentari vicino casa). Nei centri, a preparare i pacchi sono i volontari messi a disposizione dagli enti o individuati attraverso il Servizio civile.

Gli stessi volontari distribuiscono in loco i pacchi ai beneficiari, usando anch’essi come supporto la app del Reddito alimentare nella sua utenza organizzatore (basterà scannerizzare il codice QR code del beneficiario per verificarne l’identità e scalare il pacco che è venuto a ritirare). In caso di consegne a domicilio per utenti fragili, l’attività potrà essere divisa tra volontari e fattorini del partner logistico individuato dallo Stato per il progetto.

Un progetto da definire ancora meglio con Terzo settore, Comuni e Privati

Il Reddito alimentare è un in fieri, progettualmente parlando. Esiste una progetto di base, un paradigma di fondo che vuole riaffermare un principio, quello di un riequilibrio del rapporto tra Stato centrale, Comuni e Terzo settore, portando il primo a sostenere di più gli altri due. Ma l’intero progetto vuole e deve essere sviluppato e migliorato assieme agli attori che lo realizzano, ossia Terzo settore, Comuni e Privati. Per questo si prevede l’istituzione di un Tavolo nazionale ad esso dedicato (o l’impiego di uno già esistente, ad esempio quello determinato dalla Legge Gadda), con lo scopo di dettagliarne i processi, cambiarne anche le dinamiche e, in una fase di attuazione, anche di definire assieme una nuova platea di beneficiari, superando quella dell’INPS (o integrandola). E farlo grazie all’esperienza di volontari e amministratori, che son presidi sul territorio.

Perché conviene a tutti?

Allo Stato conviene perché lo strumento ha costi molto bassi (gli alimenti, che sarebbero il costo maggiore in questa forma di sussidio, sono invece donazioni), ma al tempo stesso aiuta la popolazione e fa risparmiare sullo smaltimento dei rifiuti. Parliamo infatti di un onore di pochi milioni di euro l’anno, tra partner logistico, risorse per i volontari e gestione dell’infrastruttura digitale. Per il Terzo settore, il vantaggio è invece quello di vedere – finalmente – che lo Stato non lascia più i volontari soli nella gestione delle emergenze, ma anzi li sostiene fattivamente in un rapporto alla pari, senza inglobarli ma collaborando con loro mettendo a disposizione delle risorse concrete. Infine, per i Privati il vantaggio è quello di poter ottenere maggiori vantaggi fiscali, dato che grazie alla legge antispreco del 2016 donare consente di ottenere diversi benefici. Prodotti che se buttati rappresenterebbero dunque una perdita totale, con il Reddito alimentare possono essere donati per contenere le perdite. A fronte di un impegno minimo, ossia la sola disponibilità al dono, i privati ci guadagnano.

Come si realizza?

Per realizzare il Reddito alimentare occorre riuscire a far proporre e approvare un emendamento ad hoc alla legge di bilancio del 2022, integrando il Reddito di cittadinanza con quello alimentare. Fare una nuova legge ad hoc comporterebbe infatti una trafila eccessivamente lunga. Agire invece su uno strumento già esistente è la soluzione più rapida.

Quale problema vuole affrontare questa proposta?
Emergenza e spreco alimentare
Quali sono le persone, le realtà, le Associazioni, le istituzioni da coinvolgere?
Parlamento

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Agorà da cui è emersa la proposta:

Reddito alimentare
10 novembre 2021
18:00 - 20:00

Il Reddito alimentare è uno strumento basato sulla legge antispreco del 2016. Si tratta di un’infrastruttura digitale e normativa che mette in diretto contatto la domanda di generi alimentari dei cittadini in emergenza alimentare con l’offerta dei supermercati che si trovano costretti, ogni giorno, a dover buttare centinaia di tonnellate di prodotti alimentari. Si sostanzia in una tessera in tutto e per tutto simile ad una prepagata - e assolutamente non identificabile con una “tessera per indigenti” – che prevede di riconoscere ai cittadini a rischio emergenza alimentare non del denaro, ma il diritto ad accedere, mensilmente, a prodotti alimentari di prima necessità equivalenti ad una cifra di 400 euro circa, appunto ottenibili dentro i supermercati aderenti all’iniziativa su scala nazionale. Il meccanismo, come accennato, non si basa su accantonamenti ad hoc, né su rimanenze, prodotti buoni ma “di scarto” che il supermercato mette da parte. Si basa sui prodotti alimentari spesso anche freschi che i supermercati non riescono a vendere perché comprati in eccedenza e che dovrebbero buttare a fine giornata. Perché nonostante infatti la legge antispreco del 2016 garantisca benefici fiscali in caso di donazioni, incentivando il fenomeno, essi non riescono a donare tutte le eccedenze, perché gli enti con i mezzi per venire a ritirare i prodotti alimentari sono pochi. Ragione per la quale tantissimo cibo viene buttato. In più, tante persone in emergenza si vergognano ad andare alle mense degli enti del terzo settore, quindi si riduce ulteriormente l’efficacia del contrasto al fenomeno della fame. Con il Reddito alimentare il supermercato non deve invece far niente se non aggiornare dei dati sulla app fornita dallo Stato sulle eccedenze (esempio: quanto pane è disponibile, quanto latte, quanta carne ecc.). Il beneficiario, sempre attraverso la app, trova i supermercati va lì e “paga” (tra virgolette perché, ripetiamo, non sono soldi) con la card. In questo meccanismo, il supermercato ci guadagna perché ciò che dona e che altrimenti dovrebbe buttare gli garantisce una serie di benefici fiscali. E il beneficiario riesce a fare una spesa senza l’umano imbarazzo di dover dichiarare, esplicitamente o implicitamente, la propria condizione di indigenza. Lo strumento, così delineato, non determina costi di sostenimento eccessivi per lo Stato, a cui va l’onere della realizzazione e la supervisione dell’infrastruttura digitale (la app) e l’adeguamento della normativa. C’è altresì il tema della riduzione del gettito fiscale a causa delle donazioni fatte dai supermercati, ma in realtà già oggi è così perché tali benefici sono garantiti dalla legge antispreco del 2016. Inoltre un minore spreco di generi alimentari comporta una riduzione di altre spese da parte dello Stato (smaltire migliaia di tonnellate di cibo ha costi enormi).

Elenco dei sostenitori

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